venerdì 23 maggio 2014

La lettera

Porto Marina, 4 settembre.

Delicato, ovattato. Il lieve rumore provocato da un telefono cellulare in modalità "silenzioso" poggiato sul comodino, può apparire gradevole. Mi piace. Lo preferisco al trillo invadente di una suoneria. Adoro quel movimento impercettibile, discreto.

Ciao Dora, avrai già capito chi ti sta scrivendo dopo tanti anni di silenzio.
Te lo chiedo subito e brutalmente: sei tu?




Sei tu che chiami, ogni settimana ormai da quattro mesi, con una utenza anonima nel cuore della notte?
È tuo il silenzio dopo la mia risposta?
Dimmelo, ti supplico. Mi sembra di impazzire. Non credo di poter resistere a lungo.
Da quanto tempo non ci vediamo? Una vita, è davvero il caso di dirlo. Se non faccio male i conti, e male non li faccio mai... ventinove anni. Non proprio pochissimi.
Ti ho visto, sai? L'altra sera. Un po' di tempo fa. In tv, in una delle mie notti complicate. Eri bellissima, piccola.
Sì, eri bellissima. E che fascino, che sicurezza, carisma, forza.
"Prof.ssa Fedora Marsili, Università di Teramo". Ce l'hai fatta, Dora. Ho seguito tutta la lezione. Ero totalmente rapito, paralizzato dalla tua voce, dai tuoi occhi. Non ho capito nulla dall'inizio alla fine. Non ho mai capito nulla dei tuoi studi. Eppure la tua "sindrome di nonsocosa" ti ha portato dove volevi. Ricordi quando, insieme alla tua collega Teresa, ripetevamo a turno prima di ogni esame e a me dicevi sempre "basta, tutti questi numeri mi fanno scoppiare la testa!". Io, invece, ti ascoltavo. E non capivo nulla. Anche allora. Proprio come qualche giorno fa, seguendo la tua lezione notturna in tv. L'ho registrata. Tutta. Chissà se un giorno avremo modo di rivederla insieme. Mi piacerebbe tanto. Sai le risate. Come un tempo. Che voglia di sfottere ancora la tua pettinatura. La definirei... originale. Come allora, ricordi? Quanto ti incazzavi e mi tenevi il broncio per ore.
Non è cambiato nulla dalle mie parti. Da quando son partito insieme a mio fratello, abbiamo cambiato tre città e sei appartamenti. Ma credo che presto ci cacceranno anche da qui. Le sue crisi acute sono meno frequenti ma si fanno sempre più drammatiche. Tende ancora a fare e a farsi del male.
E la gente, lo sai, ama stare tranquilla. Niente violenze, niente urla. La gente dopo un po' si stanca; è normale.
Ho lasciato il lavoro otto anni fa. Insomma, non è proprio corretto. Diciamo che mi hanno -come si dice oggi- accompagnato alla porta. Troppe assenze, troppi permessi. Testa sempre troppo svagata, sempre meno incline alla concentrazione. Alla fine si sono decisi e mi hanno fatto una proposta che ho accettato subito. Adesso, ho più tempo per Saverio. Da allora stiamo sempre insieme. I ricoveri si sono ridotti a due o tre all'anno. Non so dirti se nel complesso è migliorato. Forse sì, è più 'presente', ha più voglia di fare. È felice di stare con me. E io con lui.
Non sono pentito di essere fuggito via da te. Di averti perduta. Era l'unica cosa da fare, davvero. Nessun dubbio. Qualunque altra scelta avrebbe significato abbandonare Saverio al suo destino. Da solo. Non me lo sarei mai perdonato. Meritavi una vita felice, di certo non vicino a uno come me, perennemente eroso dai sensi di colpa.
Abbiamo vissuto momenti difficili e chissà quanti ancora ne verranno. Ma siamo pronti. Siamo forti.
Ogni tanto, ritaglio un po' di tempo per me. Non rinuncio alle mie corse in moto, come oggi. A qualche ora in emeroteca, al mio sassofono e ai miei fiori. Mi è capitato altre volte di passare da Porto Marina. Non ti ho mai visto, però. Vieni tutte le estati, come allora? Certo che sì. Non credo tu possa fare a meno di quella finestra. La "tua" finestra. Come la chiamavi? Un quadro sul mondo. Uno spettacolo impagabile.
Quante volte ho pensato di scriverti due righe e imbucarle nella cassetta della posta. Ma ho sempre pensato: che diritto ho?
E invece: eccola qui. Una stupida, ottocentesca, assurda lettera scritta con una vecchia biro mentre me ne sto seduto al tavolino del bar di fronte la tua casa al mare.
Avrei potuto chiedere in giro, informarmi. In un piccolo borgo marino, la gente sa tutto di tutti. Con una scusa qualunque avrei potuto sapere tutto della "professoressa", quella importante.
Non l'ho fatto. Ho avuto paura. Mi avrebbero parlato di marito, ragazzini. Penso spessissimo a quando mi hai confessato tanto tempo fa di volere un figlio nostro: "Se non posso avere te, voglio qualcosa di tuo. Per sempre." Sarebbe stato l'errore più grande della nostra vita, Dora. E lo penso ancora adesso, dopo tanti anni. Nonostante l'idea di un figlio fatichi ad abbandonarmi.
Sarei stato un buon padre.
O forse no.
So che hai il numero del mio cellulare. Evidentemente Teresa non ha ancora rinunciato all'idea di vederci finalmente insieme. Ha sempre tifato per noi, da subito. L'ho incontrata qualche anno fa, abbiamo parlato a lungo. Ho intuito che vi sentite spesso, voleva darmi il tuo numero, poi ha capito che non lo avrei mai usato. Ha chiesto il mio ma era altrettanto sicura che non lo avresti fatto neanche tu. E lo credevo anch'io.
Almeno, fino a qualche notte fa. Quando quell'insulso telefono ha cominciato a vibrare, costringendomi a riflettere sull'unica chiamata che vorrei davvero ricevere.
Per non essere sopraffatto dall'emozione - pensa che idiota - mi sono pure preparato. Ho ipotizzato una miriade di dialoghi telefonici immaginari. Con tanto di domande e risposte. E tutte le possibili varianti.
Anche gli argomenti stupidi che servono a coprire i silenzi imbarazzati.
Domande e risposte. Per non sbagliare.
Ridicolo, vero? Io e le mie liste! A chi potrei confessare questa debolezza se non a te?
Non sei tu, vero?
Il vigliacco sono io, non tu. Non rimarresti mai al silenzio dietro un telefono.
Se avessi deciso di chiamare, lo avresti fatto e basta. Niente paranoie, quelle restano soltanto mie.
Adesso dovrei chiudere in qualche modo questa insopportabile lettera. Non oso rileggere ciò che ho scritto. Poche righe senza senso: nessuna richiesta, nessuna offerta, nessun motivo. Finirei con l'accartocciare il foglio per farlo morire in un cestino da raccolta differenziata.
Lo lascio fare a te.
Guido.

Giovanni Ravese

6 commenti:

  1. Molto bello.
    Buona l'idea della lettera.
    Pippo

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  2. Realista e drammatico quanto la fine, nessuna responsabilità "lo lascio fare a te.
    Mi piace. Bravo!
    Nina

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  3. Ciao Giovanni,
    confermo, il racconto mi piace.
    E’ interessante come tu riesca a descrivere attraverso la lettera i due personaggi, Guido e Dora.
    E’ ancora più interessante che tu riesca a mettere in risalto tutte le debolezze di Guido, azzardo, con un punto di vista femminile.
    Questo racconto lo avrebbe potuto scrivere una donna.
    Ritengo questo il punto di forza del tuo racconto.
    Complimenti
    Danila

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  4. Una lettera consente di rielaborare pensieri, di dare forma più o meno precisa a tante sensazioni, di razionalizzare emozioni; in quanto genere letterario è luogo di finzioni e questa lettera ha grande valore letterario, anche in tutte quelle frasi che possibilmente Guido in realtà forse non avrebbe scritto. La scrittura è trascinante, c'è ritmo. Al fine di rendere maggiormente la problematicità dello scrivente avrei posto qualche punto in meno, allungato le frasi, giocare di più con le antitesi.
    Complimentoni a Giovanni,
    Giorgio

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  5. Giovanni, Giovanni
    te l'ho già detto e te lo ridico (seppure un pò in ritardo)...LO VEDI CHE PURE TU SEI UN ROMANTICONE?!!?
    Antonella R

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